Tre capi. Una cupola per decidere tutto. Al comando del clan D'Alessandro come uomini di fiducia degli eredi di Michele, il boss morto in cella. I suoi figli in carcere, loro fuori come custodi del "Patto di Scanzano". Un accordo a cui tutti dovevano sottostare per essere sicuri che nessuno tradisse e gli incassi alimentassero il patrimonio del clan. Dal 2017 Giovanni D'Alessandro, Sergio Mosca e Antonio Rossetti decidevano tutto e insieme. Seconda la Dda i tre erano i promotori dell'operazione droga, i finanziatori dell'acquisto degli stupefacenti in Calabria come sui Monti Lattari, ma anche gli unici a potere fissare i prezzi di vendita di marijuana e cocaina. In nome di Vincenzo D'Alessandro, finito in cella, toccava sempre a loro stabilire a chi affidare ruoli nella gestione delle piazze di spaccio e i compensi spettanti a ciascuno. Dopo l'arresto di Mosca, all'alba di mercoledì e di Antonio Rossetti nella serata dello stesso giorno, gli investigatori cercano l'unico dei D'Alessandro della triade. Giovannone non può essere andato lontano e le forze dell'ordine, da 48 ore, non allentano la morsa sulla roccaforte della cosca di Castellammare. È lui l'uomo che avrebbe assunto il comando, uscito dal carcere, dopo Nino Spagnuolo il cui ruolo fu ridimensionato dall'agguato avuto a Vico Equense nel 2012. Un ruolo da dividere con Mosca, suocero di Pasquale D'Alessandro, l'altra parte della "sola famiglia che comanda a Castellammare". Come più volte Mosca ricorda ai suoi uomini. Una mappa del potere interno al clan ridisegnata dal blitz di mercoledì, ultimo atto di un'inchiesta cominciata con l'omicidio di Antonio Fontana, davanti ad una pizzeria di Agerola, nell'agosto del 2017. Il nemico storico ucciso, sulle cui tracce di sangue si è arrivati ai 26 arresti e alla caccia serrata a Giovannone D'Alessandro.