Ci sono anche la vedova e il figlio del capo dei capi. Mezzo secolo di carcere per i vertici del clan D'Alessandro. Boss, colonnelli e affiliati nella requisitoria del pm Cimmarotta trovano il loro posto come in un mosaico che si ricompone. Chiesti 54 anni complessivi per i sette imputati in uno dei processi chiave nei confronti della cosca di Castellammare. Alle battute finali il processo scaturito dall'inchiesta Tsunami che ricostruisce la mappa degli affari della cosca di Scanzano in tre anni, dal 2006 al 2009. Sei anni e mezzo chiede l'Antimafia per la vedova del boss. Teresa Martone, già condannata per estorsione aggravata dal metodo mafioso nel processo Olimpo, ora rischia la seconda stangata. Con lei nella stessa vicenda giudiziaria anche il figlio Pasquale D'Alessandro, per lui il Pm chiede otto anni. La richiesta più dura è però arrivata per Michele D’Alessandro, figlio dell’altro capoclan, Luigi, per cui sono stati chiesti undici anni. Giusto un anno in più di quanto chiesto per i due colonnelli: Nunzio Bellarosa e Antonio Lucchese. Nella lista della Dda anche i due collaboratori di  giustizia, le cui ricostruzioni stanno riscrivendo la storia criminale di Castellammare e anche le connessioni con l'economia e la politica stabiese. Sei gli anni chiesti per Renato Cavaliere, ex killer di Scanzano, e due anni e quattro mesi per Salvatore Belviso, entrambi tra gli uomini di fiducia dei capi al punto dal avergli affidato l'omicidio del consigliere comunale Tommasino. Ai colonnelli della cosca sarebbe stata affidata la riscossione del pizzo imposto a centinaia di imprese. Un sistema di finanziamento costante, che obbligava tanti a pagare finanziando in silenzio il "sistema" a Scanzano.
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