E' entrato nel comune di Castellammare come uno stabiese qualsiasi con un appuntamento nell'agenda di un politico. Ma a colloquio con un rappresentante istituzionale era un killer dei D'Alessandro. L'ha raccontato lui stesso agli inquirenti della Dda, che ne stanno ascoltando le ricostruzioni da quando ha deciso di collaborare con la giustizia. Pasquale Rapicano ha chiesto assunzioni per i suoi familiari in cambio di sostegni elettorali. Un incontro, avvenuto nel 2017, di cui ha raccontato tutto ai magistrati della Dda. Un altro importante tassello nel mosaico che la magistratura sta ricostruendo sui rapporti tra il clan di Scanzano, l'imprenditoria stabiese e la politica. Rapicano, 39 anni con un ergastolo incassato per un omicidio in una faida di camorra, aveva le idee chiare quando si è presentato a Palazzo Farnese chiedendo che alcuni suoi parenti venissero assunti nelle ditte, che stavano realizzando lavori in appalto per il comune di Castellammare. Un capitolo importante delle sue deposizioni raccolte dalla Dda, di cui oggi anticipa il quotidiano Metropolis, ma che non costituiscono una novità assoluta per la Dda già al lavoro su pressioni che il clan D'Alessandro avrebbe fatto ottenendo favori e informazioni proprio sul versante delle opere pubbliche e degli appalti. Aspetti di cui hanno parlato anche altri collaboratori di giustizia come Renato Cavaliere e Salvatore Belviso. Questa volta, però, Rapicano avrebbe raccontato un episodio che lo metterebbe in diretto collegamento con un politico stabiese. E' questo forse uno dei contributi più importanti messi nelle mani degli inquiranti da quando, due settimane fa, il killer dei D'Alessandro si è pentito e i suoi familiari sono stati messi sotto il programma di protezione. Lui che in vent'anni di fedeltà alla famiglia di Scanzano di vicende e rapporti ne sa abbastanza da fare tremare chi oggi sente arrivare il momento di fare i conti con la giustizia. Arrestato una quindici di giorni fa, girava armato nel centro antico, nonostante fosse stato condannato in Appello al carcere a vita per l'omicidio di Pietro Scelzo, fermato dai carabinieri con una pistola carica addosso e con una seconda arma, pronta a sparare, nascosta in cantina.