Venti anni di cella per un capo dei D'Alessandro. E' la richiesta della Dda per Giovanni D'Alessandro, figura chiave nel traffico di droga tra gli affari principali della cosca di Scanzano e la mafia. Cugino del boss Michele, morto in carcere, era l'ultimo dei capi della cosca di Scanzano ad essere ancora libero fino a quando, cinque mesi fa, ha messo fine alla sua latitanza. Per gli inquirenti faceva parte della cupola della cosca di Scanzano. La svolta in un'udienza del processo abbreviato con la richiesta, nella requisitoria del pm Cimmarotta, di una pena esemplare per uno deli eredi nella cupola stabiese. Con lui accusati di avere sottoscritto il patto della droga con il clan Afeltra-Di Martino, capi e colonnelli come Sergio Mosca, Antonio Rossetti e Nino Spagnuolo. L'inchiesta partita nel 2017 con l'omicidio ad Agerola di Antonio Fontana, ucciso fuori ad una pizzeria. In due anni le indagini hanno ridisegnato la mappa della cupola dedita al traffico di cocaina e alla vendita della marijuana prodotta sui Lattari e in altre regioni. Un monopolio, rafforzato dal "patto di Scanzano" a cui nessuno poteva sottrarsi che operava da Castellammare a Sorrento. Ma non c'è solo droga tra gli affari della cosca di Scanzano e gli inquirenti stanno illuminando i lati oscuri delle relazioni dei D'Alessandro sul versante degli appalti pubblici e delle estorsioni. Nella cupola con Sergio Mosca Giovanni D'Alessandro conoscerebbe molti segreti del clan. E ora per Giovanni D'Alessandro è arrivata l'ra di chiudere i conti con la giustizia.