Terrore per imprenditori e commercianti costretti a pagare il pizzo o assumere chi imponeva la cosca. Condanna a nove anni di carcere per Luigi Di Martino, 57 anni, noto come “Gigino o profeta”. Il boss ritenuto dall'Antimafia ai vertici del clan di Ponte Persica, il quartiere al confine fra Castellammare e Pompei. Un’inchiesta partita da una denuncia di un imprenditore stabiese costretto a versare un pizzo di quattromila euro al mese come “tassa” alla cosca per gestire la sala di slot machine. Una storia di soprusi durata dieci anni, ma che con il passare del tempo diventava sempre più insopportabile per la vittima. Continui gli aumenti a cui doveva fare fronte, fino a quando non ha deciso di raccontare tutto agli inquirenti. Ma tra il 2014 e il 2016, periodo in cui era tornato libero, sarebbe stato direttamente Luigi Di Martino il regista delle estorsioni. “Di Martino gestiva in prima persona le estorsioni per conto del clan Cesarano” e lo faceva direttamente dal Kimera Cafè a Pompei, il bar finito sotto sequestro pochi giorni fa perché secondo gli inquirenti anche dopo l’arresto del boss continuava ad essere la centrale operativa della cosca. Un’accusa della Procura di Torre Annunziata accolta dal giudice che ha condannato a nove anni il ras. Dopo l'arresto di Gigino o Profeta, a gestire le estorsioni era Raffaele Belviso imputato nello stesso processo. Gli incontri con le vittime avvenivano sempre nel bar Kimera fra Pompei e Scafati, chiuso dalla guardia di Finanza due settimane fa proprio in quanto centrale della cosca che non ha mai smesso di funzionare fino a quando non è scattato il sequestro.