Come viviamo da lontano gli anniversari e gli eventi che hanno fatto e segnato la storia.
Sono passati 100 anni dalla fine della Grande Guerra costata all’Italia 650 mila morti sulle montagne del Carso, quella guerra che decretò la fine dell’impero asburgico.
Sono passati 100 anni da quando il tricolore italiano cominciò a sventolare su San Giusto e sul Buon Consiglio.
Non basta allora la banda che intona la marcette del Piave che mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti, ormai centenaria.
Non basta certo oggi il manipolo di rappresentanti delle forze armate e quello delle associazioni dei reduci e combattenti anche loro ormai di seconda e terza generazione a tenere alto il ricordo e il tricolore mentre sfilano per le vie della città solo perché è d'obbligo.
Non basta neppure la presenza del sindaco che porta l'omaggio della città e delle istituzioni locali ai suoi caduti, ai ragazzi del ’99 che da ogni angolo del Paese sono andati a morire sulle montagne o a mare donando la gioventù e la vita per la Patria; un sindaco impettito nella sua fascia tricolore, stretto nel ruolo, spesso solo nella solitudine di una politica che brilla per l'assenza bipartisan in questa, come in tante altre occasioni che raccontano la storia del nostro Paese.
Non basta più il senso d'appartenenza sempre meno presente e l'orgoglio di Patria, poiché per molti, tanti, questa Patria diventa ogni giorno sempre più matrigna sempre più ingiusta, fino a farci giungere chiaro l’eco delle parole dette più per montare le piazze che non per credo politico d’indipendenza che soprattutto nel Nord del Paese si sente sempre più spesso alzarsi.
Eppure queste ricorrenze, che le Istituzioni considerano “rosse sul calendario” proprio per alimentare ricordo orgoglio e consenso, hanno bisogno di rimanere vive nella gente, e per farlo hanno bisogno di quella partecipazione popolare, che non c’è più; partecipazione come elemento per nutrire la memoria, perché non si dimentichino gli orrori le tragedie e i lutti di tutte le guerre.
Le guerre che sembrano essere per le nuove generazioni eventi dolorosi che appaiono ogni giorno più lontani mentre proprio per la somma di questi fattori sono invece più vicini di quanto si pensi; solo che non ce ne rendiamo conto troppo presi come siamo da noi stessi, dagli ingranaggi infernali del vortice di una vita frenetica dove valori affetti condivisione e solidarietà, vanno sempre più dietro, solo perché si da tutto per scontato, solo perché si vive una vita annoiata senza emozioni, una vita che consente a sentimenti come odio vendetta sete di rivincita e disprezzo, di calpestare libertà e pensieri altrui.
Non è per questo che i ragazzi del ’99 hanno combattuto e perso la vita, non è così che ne onoriamo la memoria, non è su queste fondamenta che è nata settant’anni fa la Repubblica.