Il mondo del vino, come tutti i settori, è caratterizzato da corsi e ricorsi, fenomeni sociali che permettono a determinate etichette di ritrovare, dopo anni nella penombra, le luci della ribalta.
Questo è ciò che è accaduto ai vini bianchi della Campania, terra che, fino a qualche anno fa, nessuno pensava di associare a questa eccellenza enologica. Tra i motivi è possibile chiamare in causa anche i numeri: se si guarda, infatti, alla produzione enologica della Campania, i bianchi contribuiscono per il 40% al volume totale annuale, pari a 1,7 milioni di hl.
Il fenomeno della riscoperta di parte del suo patrimonio vinicolo è relativamente recente. Se nel caso del Taurasi, tra i vini bianchi più venduti in Italia come dimostra anche la sua presenza nel catalogo di un e-commerce verticale famoso e amato come Tannico, si parla di una presenza storica sulle tavole delle buone forchette, in particolare in accompagnamento con piatti di alto spessore aromatico come gli arrosti, non è così per tutte le etichette incluse sotto il cappello del vino bianco campano.
Un esempio? Il Fiano di Avellino, vitigno che gli antichi Greci hanno portato in Italia e che permette di dare vita a un bianco che si sposa con gioia ai principali piatti della cucina mediterranea, è sempre rimasto un nome di nicchia in quanto le viti da cui parte tutta la filiera sono caratterizzate da una scarsa resa.
Solo di recente, grazie alle giovani leve della viticoltura nella nostra Regione, si può parlare di una sua riscoperta, suggellata anche dai commenti favorevoli di critici e sommelier di spicco internazionale.
Di piccola storia di rivincita si può parlare anche per la Falanghina. In questo caso, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, per la precisione attorno agli anni '70, quando questo vitigno, considerato dagli storici dell'enologia il punto di incontro fra la tradizione vitivinicola greca, fondamentale per lo sviluppo della filiera campana nel corso dei secoli, e quella latina, ha iniziato a diffondersi inizialmente in provincia di Benevento. Qui, ancora oggi, viene coltivata una delle due varietà in Regione assieme a quella della zona di Napoli.
Nell'ultimo triennio in particolare, le superfici coltivate con questo vitigno sono cresciute notevolmente nel territorio regionale e tra i motivi è possibile includere la versatilità: anche se le zone collinari sono il top per esaltare l'unicità del profilo aromatico del vino, parliamo di un vitigno capace di adattarsi a diverse tipologie di terreni.