Le radici inchiodano l’anima nei corpi in cui vengono al mondo.
Ma Napoli non ha sangue che non somigli alla lava del Vesuvio e, in questo tumulto, le vene si diramano e spingono ovunque.
L’ossimoro continuo in cui serpeggia il napoletano, vive una crescita senza fine perché Napoli è nata così e vuole vivere così, contraddetta.
Risiede in questo conflitto il suo eterno fascino, tra l’abusata accettazione di chi non ha voce e la docile rabbia di chi la vorrebbe meno maleducata.
Napucalisse di Mimmo Borrelli è l’affresco di chi Napoli la maledice e la riempie di grazia.
È il grido di chi la bestemmia e le implora di cullarlo, la bocca dell’inferno e le porte del paradiso, la donna irriverente e la bambina ingenua.
Così Borrelli, accompagnato dalle musiche nostalgiche e tumultuose di Antonio Della Ragione, a turno, incarna in scena il Vesuvio e tutti i figli suoi.
Da Pulcinella a Lucifero, dai bambini strappati all’infanzia agli adulti cresciuti marci, dal comico al tragico, Napoli è presente in scena con una fedeltà che fa vergogna e amore, tenerezza e nausea, malinconia e verità.
L’allegoria è lancinante in Napucalisse perché è lo specchio in cui si riflette il napoletano: una condizione di perenne implosione, un ghigno al posto del sorriso, occhiaie che circondano iridi ancora piene di speranza e la voglia e l’attaccamento di chi Napoli non vuole abbandonarla.
Questi personaggi, tutti scritti e interpretati da Borrelli, a volte la sbeffeggiano Napoli, altre volte la condannano. Qualcuno urla alzando il mento, qualcun altro si inginocchia e la implora mentre la maledice. C’è chi vorrebbe scappare via e chi resta ai suoi patti e alle sue condizioni, chi le condizioni se le inventa e chi le combatte. C’è anche e soprattutto chi le subisce.
Tra realtà e leggende, Mimmo Borrelli traccia la linea della vita di Napoli e prova a segnarne gli eventi importanti, le caratteristiche più pungenti e le aggressive suppliche al suo animo ribelle e dormiente. E ci riesce.
“Napule venitece vuje,
Napule a campà ccà,
Napule nun me ne fuje,
Napule je schiatto ccà.”